Sulla galea con il p. Felice Fabri: la mensa dei pellegrini negli anni ‘80 del quattrocento

Il capitoletto sulla mensa a bordo della nave nell’ Evagatorium del p. Felice Fabri, domenicano di Zurigo, due volte pellegrino in Terrasanta (1480 e 1483-84, v. articoli precedenti), è intitolato: “De modo manducandi peregrinorum in Galea” – Sul modo di mangiare dei pellegrini in galea.
Come le altre parti del libro è ben scritto e interessante riguardo agli usi del tempo e ai comportamenti umani (che poi, a ben vedere, non sono cambiati molto). Questa la traduzione:

“Al momento dell'ora del pranzo o della cena, spuntano quattro trombe e trombette [tubicines et trumpetae], e le trombe lunghe [tubis] suonano come fa la campanella per la tavola [della refezione del monastero]; quando le odono, con gran fretta, tutti coloro che sono commensali della tavola del padrone [della nave] corrono a poppa, e quindi si affrettano a prendere un posto per sedere in modo tranquillo, perché chi arriva tardi, siede malamente.
A poppa sono preparate bene e in ordine tre tavole, e chi può sedervi sta bene, ma chi arriva tardi siederà fuori poppa sui banchi della galea, e al sole, al vento e alla pioggia.
Nel sedersi non c'è ordine, ma il primo si sistema come gli piace, e né il povero si sottomette al ricco, né il contadino al nobile, né il meccanico al prete, né l'idiota al dottore, né il secolare al religioso, a meno che uno non onori l'altro per speciale familiarità.
Ho opinione che la causa di quella disorganizzazione e irriverenza sia perché tutti pagano lo stesso prezzo al padrone, tanto i minori quanto i maggiori.
Credo sarebbe bene che le persone di grande dignità pagassero 60 ducati, e i popolani e plebei 20, o che il padrone ricevesse da ciascuno il denaro secondo la proporzione, così che allora ci sarebbe onore e rispetto dei minori verso i maggiori.
Per questo i nobili, che hanno servi, mangiano presso l’albero, o nelle loro cuccette con un lume, anche in pieno giorno, quando l'aria è buia.
Inoltre, sempre all'inizio della mensa, viene servito a tutti il vino di malvasia [malfasetum, in un piccolo bicchiere di vetro], e dopo il cibo comune è preparato al modo italico: e il primo è insalata di lattuga oliata, se si possono avere verdure; e quindi carne ovina a pranzo e companatico [pulmentum] o minestra di farro o di frumento tritato o di orzo, o “pannatum” [forse formaggio pannarone] o formaggio magro. Nei giorni di digiuno e non di carne si servono dei pesciolini chiamati “zebilini”, salati in olio e aceto, o una focaccia di uova con pulmento.
Danno pane fresco vicino ai porti. Dopo il quinto giorno il pane non rimane fresco nella galea. E se manca, danno “paximates o paximatios”, dei pani ricotti, che chiamano biscotti e che sono duri come la pietra, ma quando vi si versa sopra acqua o vino, subito si sciolgono.
Il vino è servito quanto chiunque possa berne, buono per un po’, e talvolta esile, ma sempre ben miscelato e battezzato con acqua. Con celerità si prepara il pranzo dei pellegrini e si porta tutto in fretta; e quando i commensali si alzano, le tavole sono di nuovo solennemente preparate per il signor padrone e per i suoi consiglieri.
Ma la sua mensa è più frugale di quella dei pellegrini; gli si porta il cibo in vasi d'argento e gli si offre da bere con la credenza [il mobile con l’assortimento di vivande e stoviglie preziose], come ai nostri prìncipi. Le donne pellegrine non accedono alla tavola comune ma rimangono nei loro posti, e là mangiano e là dormono.
I miei signori [i dodici nobili dei quali Fabri era il cappellano accompagnatore] avevano il loro cuoco e il loro posto dove mangiare. I galeotti ai loro banchi da rematori mangiano tre a tre, e preparano per sé da soli, e spesso li ho visti mangiare carne ancora rossa di sangue.
Se i pellegrini vogliono avere qualcosa di particolare dalla cucina, devono mostrare i soldi ai cuochi, perché ci sono tre o quattro cuochi molto impazienti, che non si placano se non si esibisce il denaro, e non si curano delle promesse.
Non stupisca però che i cuochi siano impazienti, perché la cucina è angusta, e ci sono tante pentole, varie cose da cucinare, un piccolo fuoco, un gran clamore davanti a essa, tanta gente esigente, e il lavoro dei cuochi è certamente degno di compassione.
I soldati del signore detestano il cibo del padrone e pagano una grossa somma di denaro al cuoco per del cibo straordinario.
Danno anche ai poveri galeotti il cibo del padrone. Ma anche la carne del padrone è singolarmente abominevole, perché uccidono quelle bestie che vedono incapaci di sopravvivere, e le pecore malate. Qualunque animale vedano difettoso, presto morirà ucciso.
Fuori l'ora del pranzo nulla viene dato dalla cantina del padrone, ma gli stessi galeotti vendono il vino migliore, che i pellegrini acquistano.
Durante le tempeste si celebrano contemporaneamente il vomito e l’ingestione [evomitatio et comestio]”.

Paola Ircani Menichini, 2 marzo 2023.
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